Fin nei primi anni di scuola abbiamo imparato l’espressione “Puglia granaio d’Italia”: concetto ancora valido, poiché la regione è prima in Italia nella produzione di grano duro. Il merito va alla lunga tradizione proveniente dai Romani e a una cultura cerealicola che permea buona parte del territorio. Ma qualcosa sta cambiando, e le crescenti importazioni minano un primato che andrebbe tutelato.
La storia del grano duro in Puglia è antica quanto l’esigenza di sfamare le masse di contadini. A farla da padrone nella produzione di questo cereale è la parte settentrionale della regione, il cosiddetto Tavoliere delle Puglie. Il foggiano, in particolare, ha sempre avuto un legame stretto con questa coltura.
Parlare di grano duro in Puglia significa indicare la cultivar Senatore Cappelli, selezionata alla fine dell’Ottocento da Nazareno Strampelli. Il nome ricorda Raffaelli Cappelli, uomo che dedicò gran parte della sua vita alla difesa del grano pugliese.
Ma è ancora corretto associare la Puglia all’eccellenza del grano duro in Italia? La risposta è complessa per vari motivi. La regione detiene ancora il primato nella coltivazione del frumento, con il 22% della produzione nazionale. La Puglia primeggia anche nell’attività molitoria che garantisce più di un terzo delle farine italiane. I molini sorgono soprattutto nel nord della regione e si distinguono per la qualità del prodotto.
Tutto bene, quindi? Non proprio. Andando oltre i numeri, si scopre una realtà ben diversa. La Coldiretti insieme ad altre associazioni di categoria da tempo denuncia le massicce importazioni di frumento per far fronte al fabbisogno interno di farina. Dall’altra parte si schierano i difensori del “made in Italy”, più preoccupati a preservare l’eccellenza dei pastifici piuttosto che le cultivar locali.
È difficile capire chi ha ragione. Ma un fatto è certo: la Puglia dovrebbe tutelare le sue tradizioni, senza cedere alla tentazione di scambiare la qualità con la quantità!